Reform of the Italian penitentiary system: 
innovations in a prison life

The article details the changes introduced into the Italian penitentiary law by legislative decrees of October 2, nos. 123 and 124, with an emphasis on the rights of detainees. The author highlights the positive and negative aspects of the reform, which, on the one hand, introduces some improvements regarding a life inside the prison, but on the other hand, fails to intervene in matter of measures alternative to detention and in overcoming the legislative automatism and restrictions pertaining to the access to penitentiary benefits, depending on the type of a committed crime.

Keywords: particularly difficult reform, healthcare innovation, legal loophole

Słowa kluczowe: szczególnie trudna reforma, innowacje w opiece zdrowotnej, luki prawne

1. Il nuovo art. 1 o.p. 

Il legislatore italiano, attraverso i d.lgs. 2 ottobre 2018, nn. 123 e 124, ha recentemente apportato diverse modifiche e innovazioni riguardo al sistema penitenziario contenuto nella legge 26 luglio 1975, n. 354 (o.p.), al fine di assicurare condizioni detentive conformi ai parametri costituzionali e alle fonti sovranazionali, nonché allo scopo di valorizzare uno degli elementi principali del trattamento risocializzante, vale a dire il lavoro penitenziario. Le nuove disposizioni costituiscono attuazione della delega contenuta nella l. 23 giugno 2017, n. 103. 

Nelle intenzioni originarie del legislatore, si sarebbe dovuto trattare di una riforma articolata mirante ad attuare compiutamente il disposto dell’art. 27 comma 3 Cost., secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbono tendere alla rieducazione del condannato[1].

Soffermarsi preliminarmente su questa previsione può essere utile per fornire una chiave di lettura e di valutazione delle modifiche introdotte dalla riforma in discorso.

Innanzitutto il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità si interseca con quanto dispone l’art. 3 Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti.

Può affermarsi che l’art. 3 CEDU fornisce una ulteriore protezione al diritto a trattamenti non contrari al senso di umanità, in armonia con quanto dispone l’art. 27 comma 3 Cost.

Occorre ricordare, al riguardo, che nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo il divieto di cui all’art. 3 CEDU configura un obbligo positivo per lo Stato e non è soggetto ad alcuna forma di bilanciamento con esigenze antagoniste. Secondo i giudici europei anche nelle circostanze più difficili, come la lotta al terrorismo e al crimine organizzato, la Convenzione vieta in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti inumani e degradanti[2].

La Corte sottolinea che l’art. 15 par. 2 CEDU non ammette alcuna deroga al proposito, anche in caso di pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione. Il divieto della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti è, secondo la Corte, assoluto, quali che siano i comportamenti della vittima[3], ed è altresì irrilevante, a tal proposito, la natura del reato ascritto al ricorrente.

La seconda parte dell’art. 27 comma 3 Cost. ha ad oggetto la finalità rieducativa della pena. Dal principio secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato deriva il carattere preminente della finalità rieducativa nell’ambito della dimensione polifunzionale della pena per cui, come ha recentemente affermato la Corte di cassazione, se la finalizzazione della pena venisse orientata verso i caratteri della reintegrazione, dell’intimidazione e della difesa sociale anziché verso il principio rieducativo, si correrebbe il rischio di strumentalizzare l’individuo per fini di politica criminale o di privilegiare i bisogni collettivi di stabilità e sicurezza, «sacrificando il singolo attraverso l’esemplarità della sanzione»[4].

In questa cornice si inserisce la riforma dell’ordinamento penitenziario posta in essere, per quanto riguarda i condannati adulti, tramite i d.lgs. nn. 123 e 124 del 2018 che, per la verità, contengono un’attuazione minimale dell’originario disegno riformatore approntato dalla l. n. 103 del 2017.

Il capo IV del d.lgs. n. 123 del 2018 si occupa delle disposizioni in tema di vita penitenziaria e riprende in gran parte il testo predisposto in sede di prima attuazione della delega da parte delle Commissione ministeriale presieduta dal Prof. Glauco Giostra[5].

Viene innanzitutto sostituito l’art. 1 o.p. Al riguardo è da segnalare subito che il comma 3 riconosce esplicitamente che ad ogni persona privata della libertà personale sono garantiti i diritti fondamentali. Si tratta di una importante previsione di principio, che segna il traguardo simbolico di un percorso, iniziato negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ‘60, volto a ribaltare la regola secondo cui il condannato, una volta entrato in carcere per scontare la pena, perdeva tutti i diritti costituzionali e legali. In quest’ottica, pur permanendo nell’art. 1 comma 5 o.p. la norma secondo cui non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con l’esigenza di mantenimento dell’ordine e della disciplina, nel comma 4 della suddetta norma si specifica che l’ordine e la disciplina sono mantenuti nel rispetto dei diritti delle persone private della libertà.

Importante è anche la trasposizione nell’art. 1 o.p. del principio costituzionale contenuto nell’art. 27 comma 4 Cost., secondo cui è vietata ogni violenza fisica e morale in danno della persona privata della libertà personale. Certo, l’inserimento anche nell’ordinamento penitenziario di siffatto principio accentua il paradosso della permanenza nello stesso ordinamento della disposizione contenuta nell’art. 4-biscomma 1 o.p., ai sensi del quale i condannati per i reati ivi elencati non possono accedere ai benefici penitenziari là dove, avendone la possibilità, non collaborino utilmente con la giustizia. La pretesa della collaborazione con la giustizia può dar luogo, invero, a una violazione della libertà morale della persona, posta di fronte all’alternativa di collaborare con la giustizia, ottenendo di poter uscire dal carcere, ovvero di non collaborare, rimanendo in carcere, eventualmente per sempre se condannata all’ergastolo. 

Tornando all’art. 1 o.p., viene rafforzato, con riferimento al trattamento penitenziario, il divieto di discriminazione, esteso a sesso, identità di genere, orientamento sessuale e nazionalità. Funzionale a rendere effettivo il divieto di discriminazione appare anche il nuovo comma 5 dell’art. 14 o.p., volto a tutelare i detenuti esposti a minaccia o a soprusi in ragione della propria identità di genere o del proprio orientamento sessuale, tramite l’assegnazione, per categorie omogenee, in apposite sezioni degli istituti penitenziari, distribuite in modo uniforme sul territorio nazionale. L’assegnazione potrà essere effettuata però soltanto previo consenso dell’interessato e, al fine di evitare forme di ghettizzazione, dovrà comunque essere garantita la partecipazione ad attività trattamentali eventualmente insieme agli altri detenuti. Il rischio da evitare, al proposito, è lo stigma discriminatorio di tali sezioni e, pertanto, tutte le attività quotidiane dovrebbero essere svolte il più possibile congiuntamente, a prescindere in particolare dall’orientamento sessuale, mentre dovrebbe essere assicurata una situazione protetta per le ore notturne[6].

Nell’art. 1 o.p. si specifica, infine, che il trattamento penitenziario deve conformarsi a modelli che favoriscono l’autonomia, la responsabilità, la socializzazione e l’integrazione. 

Con riferimento alla norma in discorso, dopo aver menzionato le modifiche introdotte può essere interessante verificare ciò che manca rispetto alla versione dello schema di decreto legislativo presentata nella precedente legislatura.

Manca, innanzitutto, il riferimento alla sorveglianza dinamica, oggetto di espressa menzione nella delega (art. 1 comma 85 lett. l. n. 103 del 2017). La sorveglianza dinamica è un modello di vigilanza in forza del quale «il perimetro della detenzione non è quello della cella, che viene riservata al solo pernottamento, ma quello della sezione»[7]. Tale modello implica «la sostituzione del controllo fisico sul detenuto da parte della polizia penitenziaria con un controllo fondato sull’osservazione e sulla conoscenza della persona», valorizzando, da un lato, il ruolo della polizia penitenziaria e, correlativamente, la responsabilizzazione del detenuto[8]. L’omessa previsione legislativa della sorveglianza dinamica non significa, peraltro, che essa non sia più consentita. Significa che l’adozione di tale modello di vigilanza sarà rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria, essendo stata la vigilanza dinamica introdotta nell’ordinamento a seguito di circolari del DAP, a partire dalla circ. n. 3594 del 2011. Per quanto riguarda la possibilità del detenuto di trascorrere del tempo fuori dalla cella, occorre comunque evidenziare la modifica dell’art. 10 o.p., che aumenta da due a quattro il numero minimo di ore da trascorrere fuori dalla cella, con possibilità di riduzione a un minimo di due ore, per giustificati motivi, da parte del direttore dell’istituto, il quale deve darne comunicazione al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e al magistrato di sorveglianza.

Nel nuovo testo dell’art. 1 o.p. è assente anche il riferimento alle regole penitenziarie europee (EPR)[9], presente invece nel testo originario dello schema di decreto presentato nella precedente legislatura e nelle proposte della Commissione Giostra. Il richiamo delle suddette regole sarebbe stato particolarmente importante, posto che esse spesso fissano standard più avanzati rispetto al nostro ordinamento. Si può pensare, ad esempio, alla disciplina delle perquisizioni personali, non innovata dal d.lgs. n. 123 del 2018, in relazione alle quali le EPRstabiliscono che l’esame delle cavità corporee non può mai essere compiuto dal personale penitenziario ma deve essere effettuato da un medico (r. 54 co. 6 e 7). Viene in rilievo, altresì, il procedimento disciplinare, all’interno del quale ai sensi della r. 59 deve essere riservato al detenuto un termine per preparare la difesa e gli deve essere riconosciuta, se del caso, la possibilità di avvalersi gratuitamente di un interprete[10].

2. Innovazioni in tema di osservazione 
scientifica della personalità

Importanti modifiche ha subito l’art. 13 o.p. dedicato all’osservazione scientifica della personalità, che si pone come strumento per così dire diagnostico rispetto alla elaborazione del programma di trattamento. Innanzitutto la norma è stata “modernizzata”, nel senso che si prevede che l’osservazione della personalità deve essere volta a rilevare le carenze psicofisiche o le altre cause che hanno condotto al reato al fine di proporre un idoneo programma di reinserimento. È stato, dunque, eliminato il riferimento al disadattamento sociale, sulla base dell’acquisita consapevolezza che non sempre il reato è frutto di disadattamento sociale, esistendo molteplici forme di criminalità (ad es. la criminalità economica o la criminalità politica) in relazioni alle quali non è formulabile un siffatto giudizio[11]. Per il resto, nella norma è stato trasposto in parte il contenuto dell’art. 27 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (reg.es.), offrendosi all’interessato l’opportunità di “una riflessione sul fatto criminoso commesso, sulle motivazioni e sulle conseguenze prodotte, in particolare per la vittima, nonché sulle possibili azioni di riparazione”. Si è in presenza di una previsione importante, se il tutto non verrà ridotto a un mero adempimento burocratico, posto che si apre la via ad attività di giustizia riparativa. Si tratta, invero, di un primo approccio a quanto previsto dalla delega nella lett. dell’art. 1 co. 85 l. n. 103 del 2017, che richiedeva “la previsione di attività di giustizia riparativa e delle relative procedure, quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario sia nell’esecuzione delle misure alternative”. Da segnalare, inoltre, che la prima formulazione del programma di trattamento deve essere redatta entro 6 mesi dall’inizio dell’esecuzione, anziché entro 9 mesi come previsto dall’art. 27 reg. es. Infine, tra gli elementi del trattamento risocializzante compaiono adesso nell’art. 15 o.p. anche la formazione professionale e la partecipazione a progetti di pubblica utilità.

3. La tutela dell’affettività in carcere 

Nel passare ad esaminare la tematica della tutela dell’affettività dei detenuti, si può affermare che la specifica direttiva della delega in materia ha ricevuto da parte del legislatore delegato un’attuazione solo parziale[12]. Nell’ottica della tutela dei rapporti con la famiglia può menzionarsi la valorizzazione del criterio di prossimità alla dimora stabile della famiglia con riferimento alle assegnazioni e ai trasferimenti (artt. 14 comma 1 e 42 comma 2 o.p.). In particolare, con riferimento ai trasferimenti, l’amministrazione penitenziaria deve dar conto dei motivi che giustificano la mancata destinazione agli istituti più vicini alla dimora del detenuto o a quella della sua famiglia ovvero al suo centro di riferimento sociale, da individuarsi tenuto conto delle ragioni di studio, di formazione, di lavoro o salute. È da rilevare che quando il trasferimento è chiesto dal detenuto, l’amministrazione deve rispondere con atto motivato entro 60 giorni (art. 42 comma 3 o.p.). Questa disposizione dovrebbe permettere al detenuto di proporre reclamo exart. 35-biso.p. non solo in caso di rigetto della richiesta, ma anche in caso di assenza di decisione sulla stessa.

Al fine di agevolare i rapporti con i familiari risponde anche la modifica apportata all’art. 18 co. 2 o.p., in forza della quale i locali destinati ai colloqui con i familiari favoriscono, ove possibile, una dimensione riservata del colloquio e sono collocati preferibilmente in prossimità dell’ingresso dell’istituto. Particolare cura è riservata ai colloqui con i minori di 14 anni. Non sono stati introdotti i c.d. colloqui “intimi”, sottratti al controllo visivo del personale penitenziario, pur valorizzandosi la riservatezza dell’eser­cizio del diritto all’affettività, il che, come è stato osservato, potrebbe aprire «scenari imprevedibili implicando una possibile sottrazione, seppur limitata, al controllo permanentemente visivo dei colloqui familiari»[13]. Del pari, non è stata recepita la proposta della Commissione Giostra volta a consentire ai detenuti di avvalersi nei colloqui, fatte salve le cautele previste dal regolamento, di strumenti di comunicazione a distanza “mediante programmi informatici di comunicazione visiva, sonora e di messaggistica istantanea attraverso la rete internet”. Al riguardo, può essere comunque utile segnalare che la circ. DAP 2015 sulla possibilità di accesso ad Internet da parte dei detenuti ha invitato tutte le strutture in cui sono ospitati detenuti comuni ad implementare l’utilizzo di Skype o della piattaforma Microsoft Lync al fine di favorire le relazioni familiari[14]. Successivamente, la circolare DAP 29 gennaio 2019 ha espressamente previsto l’utilizzo della piattaforma Skype for businessper l’effettuazione di videochiamate da parte dei detenuti ed internati appartenenti al circuito media sicurezza con i familiari e/o conviventi[15]. La disciplina delle videochiamate, da equipararsi ai colloqui, è quella rinvenibile negli artt. 18 o.p. e 37 reg. esec. 

Sempre con riferimento ai colloqui, è stato previsto espressamente nel nuovo co. 2 dell’art. 18 o.p. che i detenuti hanno diritto di conferire con il difensore sin dall’inizio della custodia cautelare, nei limiti di quanto previsto dall’art. 104 c.p.p., se si tratta di imputati, e sin dall’inizio dell’esecuzione della pena, in attuazione della sent. Corte cost. n. 212 del 1997, se si tratta di condannati. Dunque, in quest’ultimo caso, a prescindere da quelle situazioni di fatto che non consentono l’esecuzione del colloquio, non vi è spazio per negare il diritto in esame. In particolare, il colloquio con il difensore non potrà essere negato neppure facendo leva sulla sottoposizione del detenuto a misure restrittive di carattere penitenziario: ci si riferisce al soggetto in isolamento continuo, in quanto colpito dalla sanzione dell’esclusione dalle attività in comune (art. 39 co. 1 n. 5 o.p.) e al condannato destinatario di un provvedimento di sottoposizione al regime di sorveglianza particolare (art. 14-biso.p.). Del pari, il diritto al colloquio con il difensore deve essere garantito, sulla base della sent. Corte cost. n. 143 del 2013, anche ai detenuti sottoposti al regime exart. 41-bisco. 2 o.p. Viene, infine, previsto il diritto di avere colloqui e corrispondenza anche con i garanti dei diritti dei detenuti, ad ogni livello, nazionale e locale. Occorrerebbe, peraltro, al riguardo, parallelamente modificare l’art. 37 reg. esec., stabilendo espressamente che i colloqui e le telefonate con il difensore e i garanti non incidono in alcun modo sul numero dei colloqui consentiti mensilmente, né delle telefonate permesse settimanalmente o mensilmente[16].

4. Donne e stranieri 

Specifica attenzione viene dedicata dalla riforma alle donne e agli stranieri.

Per quanto concerne le donne, si è previsto nell’art. 14 co. 5 o.p. che le sezioni femminili siano di dimensioni tali da non compromettere le attività trattamentali. Con riferimento alle condannate madri, che possono tenere con sé i figli fino all’età di tre anni, criticabile appare la scelta di continuare a contemplare gli asili nido interni, consolidando, come affermato dal Garante Nazionale, una prassi negativa riscontrata negli istituti penitenziari[17]. Sarebbe stato, in realtà, preferibile potenziare l’organizzazione del servizio di trasferimento dei bambini ad asili nido esterni. 

Nell’art. 19 o.p. si afferma inoltre il principio della parità di accesso delle donne alla formazione culturale e professionale; nel nuovo art. 31 o.p. si dispone, infine, che negli istituti penitenziari ospitanti sezioni femminili le commissioni che prevedono la rappresentanza dei detenuti debbano comprendere anche una donna[18].

Con riferimento agli stranieri, in ottemperanza alla lett. o del co. 85 dell’art. 1 l. n. 103 del 2017, richiedente la previsione di norme che favoriscano l’integrazione delle persone detenute straniere, nell’art. 19 o.p. si legge che speciale attenzione è dedicata all’integrazione dei detenuti stranieri anche attraverso l’insegnamento della lingua italiana e la conoscenza dei principi costituzionali. Particolarmente significativo è l’inserimento dei mediatori culturali, insieme agli interpreti, nel novero degli esperti di cui all’art. 80 comma 4 o.p., esperti che vengono in rilievo, fra l’altro, ai fini dello svolgimento delle attività di osservazione e trattamento. La figura del mediatore culturale, già prevista dall’art. 35 reg. es., può essere particolarmente utile per consentire di superare le barriere linguistiche e culturali. Va, dunque, salutata con favore anche la disposizione che stabilisce l’ingresso di un mediatore culturale nella commissione che organizza le attività culturali ricreative e sportive (art. 27 o.p.). Può essere utile segnalare, incidentalmente, che la presenza di condannati stranieri in Italia può essere destinata a salire, posto che il d.l. 4 ottobre 2018, n. 113 conv. in l. 1° dicembre 2018, n. 132 ha introdotto nell’art. 19 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 una nuova ipotesi ostativa all’espulsione, riguardante gli stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravità, tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi in caso di rientro nel Paese di origine o di provenienza. 

5. Novità in tema di diritto allo studio

In ordine al diritto allo studio, nel comma 4 dell’art. 19 o.p. viene agevolata la frequenza e il compimento degli studi universitari e tecnici superiori, anche attraverso convenzioni e protocolli d’intesa con istituzioni universitarie e con istituti di formazione tecnica superiore, nonché l’ammissione di detenuti e internati ai tirocini di cui alla l. 28 giugno 2012, n. 92.

È da evidenziare, in relazione allo studio universitario, l’importanza di aver inserito nella legge il richiamo a convenzioni e protocolli con le istituzioni universitarie, richiamo che può rafforzare la prassi già esistente che vede attualmente, secondo i dati forniti dalla Conferenza nazionale dei Delegati dei Rettori per i Poli Universitari penitenziari, 24 Atenei coinvolti, con attività didattiche e formative in poco meno di 50 Istituti penitenziari e circa 600 studenti iscritti[19]. Funzionale al diritto allo studio sembrerebbe anche la previsione, inserita dal d.lgs n. 124 del 2018 nell’art. 5 o.p., secondo cui gli edifici penitenziari devono essere dotati di locali per lo svolgimento di attività formative.

6. Regime disciplinare e disposizioni finali 
del d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123

Poche le modifiche in tema di regime disciplinare. Si è intervenuti sulla disciplina dell’isolamento ex art. 33 o.p. prevedendosi, in linea con le proposte della Commissione Giostra, il rinvio alle disposizioni del regolamento di esecuzione per quanto riguarda le modalità di attuazione dell’iso­lamento. Modalità di attuazione che dovranno comunque garantire le normali condizioni di vita del detenuto – ad eccezione di quelle funzionali alle ragioni (sanitarie, disciplinari o cautelari) alla base della misura in discorso – e la possibilità di colloqui visivi con i soggetti autorizzati. Inoltre, con riferimento all’isolamento giudiziario, si dispone che il relativo provvedimento giudiziale debba indicare la durata e le ragioni dell’isolamento.

In relazione al procedimento disciplinare, oltre a specificarsi che nell’applicazione della sanzione disciplinare si deve tener conto del programma di trattamento in corso, si modifica la composizione del consiglio di disciplina, eliminando, in attuazione della delega, il sanitario e inserendo al suo posto uno degli esperti exart. 80 comma 4 o.p.

Manca invece, come accennato, la specificazione della disciplina delle perquisizioni.

Il d.lgs. n. 123 del 2018 si conclude con due norme che potranno avere effetti pratici di rilievo. Da un lato viene modificato l’art. 43 o.p. stabilendosi, nell’ottica di agevolare il reinserimento sociale, che i detenuti e gli internati debbano essere dimessi con documenti d’identità validi. D’altro canto, al fine di consentire la programmazione degli interventi e delle risorse da parte dei servizi sociali, nell’art. 45 o.p. si prevede l’iscrizione dei reclusi privi di residenza anagrafica nei registri della popolazione residente nel comune dove è situato il carcere, mentre gli altri possono comunque spostare in tale comune l’originaria residenza. La disposizione può avere importanza anche ai fini dell’erogazione di prestazioni socio-sanitarie il cui presupposto è costituito dal requisito della residenza dichiarata[20].

7. Le modifiche in materia di strutture detentive contenute nel d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 124

Nell’analizzare le principali novità in tema di vita detentiva contenute nel d.lgs. n. 124 del 2018, occorre premettere che esso è suddiviso in due capi: il primo riguarda ancora le disposizioni in tema di vita penitenziaria; il secondo capo ha ad oggetto, invece, il lavoro penitenziario[21]. Come affermato dalla Relazione illustrativa allo schema di decreto inviato dal Governo alle Camere, numerose sono le norme ispirate alle proposte della Commissione Giostra e alle indicazioni conclusive degli Stati Generali dell’esecuzione penale[22].

Il capo I interviene sulle strutture penitenziarie: si stabilisce all’art. 5 o.p. come accennato, che gli edifici penitenziari debbano essere dotati di spazi per lo svolgimento delle attività lavorative, formative e, ove possibile, culturali, sportive e religiose. La disposizione è stata, per la verità criticata, nella parte in cui gli spazi per le attività culturali, sportive e religiose saranno fruibili solo ove concretamente possibile in relazione alle specifiche condizioni del singolo carcere[23].

Ai sensi dell’art. 6 o.p. le aree residenziali debbono essere dotate di spazi comuni al fine di consentire una gestione cooperativa della vita quotidiana nella sfera domestica. Si tratta di una norma che, facendo riferimento alla gestione comune della vita quotidiana nelle Sezioni, sembra presupporre l’adozione del modello della sorveglianza dinamica, peraltro, come già osservato, non preso in considerazione dai decreti.

Nell’art. 8 o.p. si prevede, in via obbligatoria, che sia assicurato ai detenuti e internati l’uso di docce fornite di acqua calda, nonché la collocazione in spazi riservati dei servizi igienici. Disposizione quest’ultima assolutamente positiva, se si pensa che «ancora oggi sono più di mille i detenuti ristretti in celle con i servizi igienici “a vista”»[24]. Purtroppo però se ne differisce l’entrata in vigore a partire dal 21 dicembre 2021, dunque tra tre anni. Lo stesso dicasi per la previsione dell’art. 6 o.p. 

Infine, il diritto dell’ergastolano di vivere in camere ad un posto (art. 6 comma 5 o.p.) viene ridotto a una semplice indicazione di preferenza che l’interessato può liberamente esprimere. La norma stride con quanto continua a disporre l’art. 22 c.p., il quale prevede l’isolamento notturno quale modalità esecutiva della pena dell’ergastolo.

8. Conclusioni 

In sintesi, può affermarsi che complessivamente la riforma penitenziaria presenta aspetti positivi e negativi. Il difetto più eclatante riguarda il mancato intervento sulle misure alternative, non solo in chiave di facilitazione del ricorso alle stesse, ma anche in un’ottica di razionalizzazione della disciplina della materia che, anche a causa delle stratificazioni normative, si presenta a tratti poco lineare e a tratti lacunosa. D’altro canto, la popolazione penitenziaria continua a crescere. Se era di 54.653 detenuti al 31 dicembre 2016, ha superato i 60.000 detenuti lo scorso marzo[25]. Dunque, come ha sottolineato anche il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, se non si prendono provvedimenti si rischia di fare un brutto tuffo nel passato. 

L’altra lacuna, in materia di superamento di automatismi legislativi e preclusioni legate alla tipologia del reato oggetto di condanna è altrettanto grave, in quanto sottrae alla magistratura di sorveglianza la possibilità di valutare il percorso rieducativo del singolo condannato. Sul punto però siamo assistendo a progressive aperture da parte della Corte costituzionale. Al riguardo, si può concludere con un’affermazione della Corte contenuta nella sentenza n. 149 del 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 58-quater o.p., nella parte in cui prevede che i condannati all’ergastolo per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, nonché a scopo di terrorismo o di eversione, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell’art. 4-biso.p. se non abbiano espiato effettivamente almeno 26 anni di pena. Orbene, nella motivazione della sentenza si legge che «la personalità del condannato non resta segnata in modo irrimediabile dal reato commesso in passato, foss’anche il più orribile; ma continua ad essere aperta alla prospettiva di un possibile cambiamento»[26].

Bibliografia

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L. Cesaris, Quel che resta della riforma penitenziaria, «Giurisprudenza Penale Web» 2018, 12.

A. Della Bella, Riforma dell’ordinamento penitenziario: le novità in materia di assistenza sanitaria, vita detentiva e lavoro penitenziario, www.penalecontemporaneo.it, 7 novembre 2018.

R. De Vito, Introduzione. La fine era nota: storia di una riforma minima, «Quest. Giust.» 2018, 3.

Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Parere del Garante Nazionale sul decreto legislativo recante “Riforma dell’ordinamento penitenziario” (Legge delega n. 103 del 2017) ai sensi dell’articolo 19 lettera c del Protocollo Opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti (OPCAT), www.garantenazionaleprivatiliberta.it.

Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Relazione al Parlamento 2018.

Stati Generali dell’esecuzione penale, Documento finale, www.giustizia.it.


[1]  Il d.d.l. n. 2798/C presentato il 23 dicembre 2014 finalizzava le modifiche all’ordinamento penitenziario alla «effettività rieducativa della pena»: v., al riguardo, P. Bronzo, La delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario, www.lalegislazionepenale.eu, 18 gennaio 2018, p. 1.

[2]  Cfr. Corte EDU, 6 aprile 2000, Labita c. Italia, par. 119.

[3]  V. Corte EDU, 15 novembre 1996, Chabal c. regno Unito, par. 79.

[4]  V. Cass. 23 novembre 2017, Montenero, n. 13382.

[5]  V. Commissione per la riforma dell’ordinamento penitenziario nel suo complesso, costituita con d.m. 19 luglio 2017.

[6]  Cfr. Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Parere del Garante Nazionale sul decreto legislativo recante “Riforma dell’ordinamento penitenziario” (Legge delega n. 103 del 2017) ai sensi dell’articolo 19 lettera c del Protocollo Opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti (OPCAT), www.garantenazionaleprivatiliberta.it., p. 6; Id., Relazione al Parlamento 2018, p. 177.

[7]  V., sul punto, A. Della Bella, Riforma dell’ordinamento penitenziario: le novità in materia di assistenza sanitaria, vita detentiva e lavoro penitenziario, www.penalecontemporaneo.it, 7 novembre 2018.

[8]  In questi termini A. Della Bella, Riforma dell’ordinamento penitenziario, cit. Cfr., in argomento, R. De Vito, Introduzione. La fine era nota: storia di una riforma minima, in «Quest. Giust.» 2018, 3, pp. 116–117.

[9]   Allegate alla Raccomandazione R (2006) 2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee. 

[10]L’art. 38 comma 2 o.p. si limita, al riguardo, a prevedere che «nessuna sanzione può essere inflitta se non con provvedimento motivato dopo la contestazione dell’addebito all’interessato, il quale è ammesso ad esporre le proprie discolpe».

[11]V., sul punto, M. Bortolato, Luci e ombre di una riforma a metà: i decreti legislativi 123 e 124 del 2018, in «Quest. Giust.»2018, 3, p. 125.

[12]V art. 1 comma 85 lett. nl. n. 103 del 2017 richiedente il riconoscimento del diritto all’affettività delle persone detenute e internate, nonché la disciplina delle condizioni di esercizio del suddetto diritto.

[13]V., in questi termini, M. Bortolato, Luci e ombre di una riforma a metà, cit., p. 126.

[14]Cfr. Circolare DAP 2 novembre 2015 – Possibilità di accesso ad Internet da parte dei detenuti, www.giustizia.it.

[15]V. Circolare DAP 29 gennaio 2019 – Utilizzo della piattaforma “Skype for business” per l’effettuazione di videochiamate da parte dei detenuti ed internati con i familiari e/o conviventi.

[16]V., sul punto, M. Bortolato, Luci e ombre di una riforma a metà, cit., p. 126.

[17]Cfr. Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Parere del Garante Nazionale, cit., p. 6. 

[18]Vengono in rilievo le commissioni per il controllo del cibo, la gestione della biblioteca, il lavoro e l’organizzazione di attività culturali e ricreative.

[19]Indice della crescente attenzione verso la tematica da parte delle Università è la recente formalizzazione, presso la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), del Coordinamento dei responsabili di attività di formazione universitaria in carcere tramite la Conferenza nazionale dei Delegati dei Rettori per i Poli Universitari penitenziari (CNUPP): cfr. www.crui.it/cnupp.html.

[20]V. L. Cesaris,Quel che resta della riforma penitenziaria, «Giurisprudenza Penale Web» 2018, 12, pp. 7–8.

[21]L’obiettivo della riforma è stato quello di incentivare il lavoro che, pur essendo uno degli elementi principali del trattamento, «soffre nella prassi di una gravissima carenza di effettività» (v. A. Della Bella, Riforma dell’ordinamento penitenziario, cit.). Fra le novità più significative, può citarsi, innanzitutto, l’eliminazione dell’obbligatorietà del lavoro penitenziario, che si poneva in contrasto con la connotazione del lavoro come elemento del trattamento risocializzante, che ha viceversa carattere volontario. La modifica ha, tuttavia, carattere meramente simbolico, dal momento che, non essendosi intervenuti sugli artt. 22, 23 e 25 c.p., il lavoro penitenziario continua ad essere una componente necessaria della punizione e il rifiuto di dedicarsi a una attività lavorativa continua ad avere come conseguenza l’applicazione di una sanzione disciplinare ai sensi dell’art. 77 reg. es., il quale prevede come infrazione disciplinare il volontario inadempimento di obblighi lavorativi.

Rilevanti modifiche hanno interessato la composizione e il funzionamento della commissione preposta alla formazione delle graduatorie di avvio al lavoro; l’introduzione della produzione di beni da destinare all’autoconsumo; la previsione secondo cui gli introiti delle lavorazioni penitenziarie debbono essere accantonati per finanziare lo sviluppo della formazione professionale e del lavoro dei detenuti. Deve essere inoltre garantito, da parte dell’amministrazione penitenziaria, un servizio di assistenza per l’accesso alle prestazioni previdenziali e assistenziali, nonché per l’ero­gazione di servizi e politica attiva del lavoro.

Importanti innovazioni anche in tema di lavoro di pubblica utilità, definito come elemento autonomo del trattamento tramite il riferimento alla partecipazione a progetti di pubblica utilità: ciò ha consentito di rendere indipendente tale istituto dal lavoro all’esterno. La conseguenza è stata un ampliamento dell’ambito di operatività del lavoro di pubblica utilità che può svolgersi anche all’interno degli istituti penitenziari, coinvolgendo pure detenuti e internati che non hanno i requisiti per essere ammessi al lavoro all’esterno ex art. 21 o.p. In termini critici sul risalto attribuito al lavoro di pubblica utilità cfr., tuttavia, R. De Vito, Introduzione. La fine era nota: storia di una riforma minima, cit., 117, secondo cui sembra essersi in presenza del «tributo a una retorica del lavoro gratuito del detenuto come passaporto per ritrovare riconoscenza sociale e liberarsi dallo stigma della colpevolezza». 

[22]Cfr. Stati Generali dell’esecuzione penale, Documento finale, www.giustizia.it. 

[23]M. Bortolato,Luci e ombre di una riforma a metà, cit., p. 127.

[24]V. A. Della Bella, Riforma dell’ordinamento penitenziario, cit.

[25]A fronte di una disponibilità in 190 istituti penitenziari italiani di 50.514 posti (Dati Ministero della Giustizia).

[26]V. Corte cost., sent. n. 149 del 2018.